Placido Martini occupa un posto importante nella storia della Massoneria italiana contemporanea perché riuscì ad istituzionalizzare la riunificazione delle due realtà massoniche del Grande Oriente di Palazzo Giustiniani (G.O.I.) e della Serenissima Gran Loggia Nazionale Italiana di Piazza del Gesù (S.G.L.N.I.), durante la clandestinità, seppure per lo spazio di quasi mese.
Gran Maestro del G.O.I. in quanto Maestro Venerabile della Loggia “Carlo Pisacane”, fondata al confino politico di Ponza nel 1931 con la partecipazione del Gran Maestro del G.O.I. Domizio Torrigiani, nel cui atto costitutivo era definita “Loggia Madre” da cui sarebbero nate altre Logge, come in effetti avvenne con la costituzione di altre quattro Logge, ed il Maestro Venerabile avrebbe assunto il ruolo di Gran Maestro. Gran Maestro della S.G.L.N.I. in quanto fu eletto il 31 dicembre 1943 nell’assemblea costitutiva del Supremo Consiglio di Rito Scozzese Antico ed accettato della S.G.L.N.I. Martini riuniva, quindi, nella sua persona, entrambe le istituzioni massoniche.
L’aver assimilato profondamente i principi massonici sin dalla giovinezza era motivo costante del suo impegno nella sfera socio-politica. Con la caduta del regime in quel 25 luglio del 1943, tornò a Roma dal suo ultimo confino di L’Aquila e ricostituì la Loggia “Carlo Pisacane”, dando vita ad una formazione politica, l’Unione Nazionale della Democrazia Italiana, movimento democratico trasversale ai partiti, col quale partecipò alla Resistenza romana contro il Nazi-fascismo. Arrestato come capo di un partito clandestino il 26 gennaio per delazione di infiltrati fu rinchiuso nel carcere della polizia nazista in Via Tasso, ove fu oggetto di efferate violenze, nonostante i suoi 64 anni portati malissimo per gli stenti di oltre quindici anni di vita confinaria.
A seguito dell’azione di guerra di Via Rasella del 23 marzo 1944 ad opera dei partigiani, ove morirono trentatré soldati nazisti, fu inserito nei Todeskandidaten, i condannati a morte, dal comandante della polizia nazista, Herbert Kappler, per la rappresaglia del giorno successivo, poi nota come l’Eccidio delle Fosse Ardeatine.
Dall’autopsia effettuata qualche mese dopo sui poveri resti, si scoprì che, a differenza degli altri condannati, che inginocchiati dovevano piegare il capo per ricevere il colpo fatale di pistola alla nuca, sparato alle spalle dall’alto verso il basso, Martini si rifiutò di abbassare la testa, preferendo morire guardando la morte in faccia, a fronte alta, così come aveva sempre vissuto.