In questo periodo si torna a parlare di Massoneria. Male, ovviamente. Senza alcuna difesa efficace di questa Istituzione, che volente o nolente, fa parte della nostra storia nazionale, come della storia d’Europa da 300 anni. Motivi di polemica sono due fatti: la scoperta di una fantomatica “Loggia Ungheria”, infarcita di uomini di potere, in particolare magistrati, che l’autorità giudiziaria sta cercando di capire cos’è; e lo scontro politico nella città di Benevento, che in occasione delle elezioni locali vedrebbe contrapposti alla carica di sindaco due candidati massoni, spalleggiati da rispettivi schieramenti. Oltre al solito chiacchiericcio, si sono evidenziate due reazioni: un editoriale del giornalista Ezio Mauro sul quotidiano Repubblica, e l’interrogazione urgente al governo Draghi promossa dal gruppo parlamentare del Movimento Cinquestelle e da alcuni componenti del  gruppo misto, tra cui l’antisemita e antimassone Elio Lannutti, con la richiesta di un provvedimento escludente i massoni dalle cariche pubbliche.

L’editoriale del giornalista non è un ammasso di luoghi comuni, ma una riflessione ben articolata. Che cosa ha detto Ezio Mauro? Ha sollevato tre domande: “perché in Italia tutto, anche nella millanteria, finisce e comincia in logge, sodalizi clandestini, consorzi occulti e associazioni segrete? Dove e quando si è smarrito il concetto trasparente di “pubblico”, quando si è spezzato quello spazio di libertà tra lo Stato e il cittadino in cui si incontrano e competono gli interessi legittimi e le opinioni?” E ne ha proposto delle risposte, per la verità, non originali perché si richiamano alla lezione di Norberto Bobbio  su democrazia e segreto di venti e trenta anni fa: una delle condizioni di base del procedimento democratico, e cioè la pubblicità, la riconoscibilità, la verificabilità di atti, comportamenti e decisioni, il rendiconto: vale a dire la trasparenza. Quando si rompe la faticosa e banale normalità della procedura regolare e legittima, tutto retrocede nell’ombra dell’arbitrio”. Questa posizione non è mai stata affrontata dai massoni italiani, nemmeno quando è stata ribadita da Rosy Bindi, presidente della commissione antimafia, nella relazione finale del 2017. Cosa dicevano Bobbio, Bindi e Mauro? In buona sostanza, sostenevano che così come sono strutturate oggi le logge massoniche, con l’istituto ambiguo del segreto, destano allarme perché sono permeabili a logiche estranee a quelle della tradizione massonica, quali quelle mafiose; a dimostrazione della fondatezza di tale analisi militavano le decine di indagini giudiziarie nelle varie parti d’Italia, in particolare nelle due regioni più meridionali della penisola. D’altro canto, sotto il profilo democratico e dell’etica pubblica, Mauro osservava che, a causa della debolezza della democrazia “ognuno si sente spinto ad adottare un pensiero di gruppo, a coalizzare le sue inquietudini e a consorziare le sue ambizioni, delegando a un network e ai suoi codici nascosti quella tutela e quel riconoscimento che dovrebbero venire dal merito professionale, dalla competenza, dall’esperienza e anche dal senso dello Stato”. Da qui la conseguenza della nascita del vizio tipicamente italiano del “bisogno di consorziarsi in forma misterica e in modalità clandestina, al doppio scopo congiunto di condizionare e favorire, truccando le regole del gioco… cercando uno spazio di privilegio nella lobbizzazione della società”. Il danno prodotto è enorme, conclude Mauro, perché si tratta della “ perdita del concetto di unità dello Stato, non dal punto di vista territoriale, ma morale e politico. Così il rifugio italiano di questo demi-monde nel segreto rivela in realtà una subalternità spaventata, la rinuncia ad essere una vera classe dirigente: consapevole che il vero mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile”. 

Sono argomentazioni articolate di un pensiero, che avrebbe meritato in risposta una seria riflessione da parte del mondo massonico. Invece, l’unica reazione si è avuta dall’algida letterina di Stefano Bisi,  gran maestro del Grande Oriente d’Italia, al direttore di Repubblica,  infarcita di un’accozzaglia di luoghi comuni triti e ritriti, dagli eroi risorgimentali ai padri costituenti, il tutto condito con la rancida salsa del fumus persecutionis, innalzando il vello del capro espiatorio. Ma quale capro espiatorio si può obiettare dinanzi all’arresto di un maestro venerabile di una loggia “regolare” per associazione mafiosa? Quale capro espiatorio si può motivare dinanzi alla confessione manifesta dell’impossibilità di controllare tutte le logge della comunione con gli strumenti attuali? Di quale capro espiatorio si va cianciando quando nessuno dei tre  autori menzionati ha mai proposto o auspicato la messa in fuorilegge dell’istituzione massonica in quanto società segreta vietata dalla legge? Per il colmo dell’ironia, il Vate del Gianicolo ricordava a Mauro la massima di Nietzsche “Meglio che nessuna spiegazione, una spiegazione  che so essere falsa ma che io rendo vera perché mi rassicura.”  Purtroppo, anche in questo caso si ripete stancamente la solita liturgia di accuse e difese, richiesta di trasparenza e capro espiatorio, ma ancora non si vuole affrontare con serietà dagli ambienti massonici italiani, a cominciare dalle comunioni più numerose (senza alcuna certezza delle consistenze prospettate), la questione delle questioni: una legge sulle associazioni massoniche.

Una proposta di legge che dovrebbero partorire le comunioni massoniche consorziate su cosa si deve intendere per associazione massonica, quali i suoi fini, i diritti ed i doveri dei suoi aderenti, loro forma di pubblicità e di tutela per il codice civile e per il codice penale. Si potrebbe attingere qualche idea dall’esperienza di altri paesi, come la Francia ad esempio, dove vengono depositate in prefettura (che lì corrisponde alla nostra questura) lo statuto e la lista degli aderenti aggiornata annualmente. Nessuno meglio dei massoni potrebbe elaborare una proposta di legge perché le logge massoniche italiane pullulano di giuristi in ogni capo del diritto, quindi ne possiedono strumenti e linguaggi. La proposta andrebbe poi consegnata ad ogni forza politica del Parlamento chiedendone, dopo confronto preventivo, il deposito alla Camera o al Senato. Sicuramente, per motivi vari (interesse elettorale, condivisione  di ideali, favore democratico, ecc.) si troverebbero forze politiche disponibili a perorare questa causa sino alla confezione in legge. Detta così sembra la scoperta dell’acqua calda, ma perché non si è fatto finora? Non sarà forse che una norma dello stato che regoli la materia, e quindi imponga anche un’attività di controllo, sia sgradita ad alcune comunità massoniche allergiche al controllo pubblico, che garantirebbe legalità e trasparenza? Non sarà che col deposito in prefettura delle liste, decollando anche l’indagine statistica, si andrebbero a scoprire gli altarini di chi vanta presenze superiori al reale, come quella stimata comunione che si presenta con 1.500 iscritti quando in realtà ne ha solo 600 e si assottiglia sempre di più, o come quell’altra che si presenta con 9.000 ed in realtà ha circa 6.000 iscritti, o quell’altra ancora che vanta numeri in entrata ma nasconde quelli in uscita?